Federico Fabbrini / 22 dicembre 2025
Commento n. 019/2025 NS
Il 18 dicembre 2025 il Consiglio europeo ha preso importanti decisioni per sostenere finanziariamente l’Ucraina nella sua guerra di difesa contro l’aggressione della Russia. In un vertice molto atteso, il Consiglio europeo ha sostanzialmente abbandonato l’ipotesi – su cui ci si accaniva da mesi – di utilizzare gli assets della Banca Centrale Russa (BCR) congelati per lo più presso la società di intermediazione finanziaria belga Euroclear. Esso ha invece deciso di approvare un nuovo prestito di 90 miliardi di euro a favore dell’Ucraina per il biennio 2026-7, autorizzando l’UE ad emettere debito comune. Nello specifico, la Commissione sarà autorizzata a raccogliere queste risorse sui mercati finanziari, utilizzando il bilancio dell’UE come garanzia, ed entro i limiti al tetto di spesa (il cd. headroom) previsto dallo stesso bilancio europeo – il quadro finanziario pluriennale (QFP) 2020-7.
La decisione del Consiglio europeo è rilevante per due motivi. Dal punto di vista economico e finanziario, essa conferma la netta tendenza al rafforzamento della capacità fiscale dell’UE basata sull’emissione di debito comune, a cui avevo dedicato un precedente libro. Si ricorderà che nel 2020 per rispondere alla pandemia di Covid-19, l’UE aveva ricorso all’emissione di 750 miliardi di euro di debito comune per creare il fondo per la ripresa Next Generation EU. All’epoca, l’emissione di debito comune era stata definita come assolutamente eccezionale, e non riproducibile. In realtà, dall’inizio dell’invasione russa su larga scala nel 2022, l’UE ha ripetutamente ricorso di nuovo all’uso del debito comune per raccogliere risorse finalizzate a sostenere l’Ucraina. Se si considerano lo strumento di assistenza macro-finanziaria per il 2023 (MFA+), del valore di 18 miliardi di euro, lo Strumento per l’Ucraina 2024-7, del valore di 50 miliardi di euro, oltrechè il meccanismo di cooperazione che prevede un prestito all’Ucraina del 2024 nel quadro dell’iniziativa ERA (Extraordinary Revenues Accelleration loan) del G7, del valore di 35 miliardi, l’UE ha già emesso oltre 100 miliardi di debito in comune per l’Ucraina in tre anni. La decisione di ieri raddoppia l’importo, e rafforza la dinamica di federalizzazione fiscale dell’UE avviata appena cinque anni fa.
Dal punto di vista giuridico, inoltre, la decisione del Consiglio europeo evita all’UE di incappare in violazioni del diritto internazionale. Come avevo già sostenuto in passato, incluso nel mio ultimo libro sulla guerra, l’utilizzo degli assets della BCR come garanzia per l’emissione di un prestito all’Ucraina avrebbe costituito una violazione del principio dell’immunità sovrana degli stati – e in ultima analisi avrebbe portato solamente ad una misura simmetrica di ritorsione da parte della Russia - come spiegato in un mio commento la settimana scorsa, invece, l’immobilizzazione degli assets della BCR fino a quando la Russia non porrà fine alla sua aggressione e risarcirà l’Ucraina, adottato tramite un regolamento adottato sulla base dell’articolo 122 TFUE non è incompatibile con il diritto internazionale. Da questo punto di vista, pertanto, il Consiglio europeo ha scelto la strada maestra: se la difesa dell’Ucraina è interesse dell’Europa, è necessario che l’UE sia disposta a mettere soldi propri per raggiungere l’obiettivo, senza pensare di trovare escamotages apparentemente più facili, come confiscare gli assets russi nell’idea che questi siano soldi gratis.
Detto questo, in una prospettiva giuridica, le conclusioni del Consiglio europeo sollevano comunque una importante questione. Per approvare l’emissione di nuovo debito in comune il Consiglio europeo ha affermato, al punto 3 delle sue conclusioni, che “Nel quadro di una cooperazione rafforzata (articolo 20 TUE) […] qualsiasi mobilitazione di risorse del bilancio dell'Unione come garanzia per tale prestito non inciderà sugli obblighi finanziari di Repubblica ceca, Ungheria e Slovacchia”. Com’è noto questi tre paesi dell’Europa orientale sono governati da partiti euro-scettici, filo-russi ed ostili all’Ucraina. Quindi per ottenere il loro assenso necessario in una decisione che impone l’unanimità, il Consiglio europeo ha presentato il meccanismo di indebitamento comune come una cooperazione rafforzata e, per così dire, riconosciuto un opt out a tre paesi. Tuttavia, giuridicamente la cosa non è possibile. Ai sensi dell’articolo 20 TUE la cooperazione rafforzata non è consentita nelle materie di competenza esclusiva dell’UE e il bilancio comunitario ovviamente è materia di competenza esclusiva. Per di più, ai sensi dell’articolo 329 TFUE il Parlamento europeo deve approvare l’istituzione di una cooperazione rafforzata, quod non. La sensazione dunque è che il Consiglio europeo — che spesso si sente legibus soluto ma in realtà è vincolato al rispetto del trattato — abbia trovato una soluzione cosmetica per fare approvare le conclusioni. Ma al massimo quello che potrebbe accadere è quanto fu previsto (come backup) per il sopra-citato MFA+ per l’Ucraina del 2023. In quel contesto si previde che se non avveniva (all’unanimità) una modifica del QFP, allora 26 stati (tutti tranne l’Ungheria) avrebbero contribuito pro quota a garantire l’emissione. Ma alla fine il QFP fu modificato (all’unanimità).
Insomma, alla conclusione di una difficile negoziazione, l’UE ha giustamente abbandonato l’ipotesi di usare gli asset russi, che era incompatibile con il diritto internazionale, e invece ha confermato la tendenza al consolidamento di una capacità fiscale centrale UE, basata sul debito comune europeo, che è un buon segno della federalizzazione europea. Nondimeno, l’accordo politico raggiunto dal Consiglio europeo solleva una serie di questioni di diritto dell’UE, suggerendo uno scenario che non è giuridicamente possibile, ovvero una garanzia asimmetrica da parte di soli alcuni stati membri sul bilancio dell’UE. Naturalmente la questione è tutto fuorché tecnica: Poiché è quasi sicuro che l’Ucraina non ripagherà mai questi prestiti europei, vista la guerra, spetterà all’UE ripagare i debiti comuni: o con nuovi, maggiori contributi degli stati membri o con tasse UE o con nuovi debiti comuni.
*Professore ordinario di diritto dell’UE presso la Dublin City University; Direttore Fondatore del Dublin European Law Institute

It
En



